Fiasco è sinonimo d’insuccesso e di fallimento, ma può essere anche l’unico amico che ti resta nei momenti di resa incondizionata a un mondo che non sembra prevedere alcuna forma di rinascita o di riscatto. In questa raccolta di poesie, una voce disincantata, che lascia dietro di sé un retrogusto amarognolo e inesorabilmente maudit, cerca di ritrarre dall’interno una massa di giovani vacillanti, alle prese con un tortuoso percorso a ostacoli verso un senso (e un lavoro) e la riformattazione della propria esistenza. In una panoramica che parte dal sé e dalla provincia, e che coinvolge amici e città distanti, i versi si muovono tra rabbia e disillusione, vitalità e amarezza, immergendosi nel quotidiano con un’attitudine narrativa e inabissandosi spesso in angosce, redente da un piglio ironico e dal sostegno dei vizi contemporanei.
Francesco Targhetta è classe ’80, pencola tra due città sorvegliate dalle ronde, come lavoro cerca di risultare sospetto e ci riesce spesso, come passatempo suona due chitarre e un ukulele, ascolta e recensisce valanghe di dischi, ogni tanto insegna la consecutio in qualche scuola starale. Ha curato un libro di Govoni dal significativo titolo Gli aborti, è vcino al millesimo Spritz, vivacchia.
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