“Si accarezzò tra le gambe, fin quando non venne con una specie di guaito soffocato: non voleva svegliare il figlio che dormiva nella camera accanto”. Inizia così l’avventura di Sandra. In un mondo di spettri, di uomini con un io inconsistente e una consistente crudeltà; in una terra avara, indifferente, fatta di nebbie e di piatti saporiti, di vino rosso e di grappa, dove l’amore muore e il sesso è follia, lei passa attraverso la vita con leggerezza prima, poi con dolore e infine con coscienza di sé. Una coscienza che diventa sofferenza o serenità, dignità o abiezione. Come sottolinea lui stesso, Ruggiero Flora si ritrova una i di troppo nel nome e una nascita casuale a Desio durante i bombardamenti del ’43. Cresce sul Garda, si diploma in ragioneria con qualche fatica, si sposa e mette al mondo due figli. Interpreta la parte di emigrante in Germania e in Brasile ma, una volta tornato in Italia, si impiega in banca dove il suo ruolo principale diventa quello di sindacalista. Le attuali vicissitudini esistenziali lo vedono pensionato dall’una e dall’altra occupazione, ma lui non demorde: scrive. Tant’è vero che dopo L’albero dello stolto, pubblicato con ExCogita nel 2001, eccolo di nuovo alla ribalta con questo romanzo. |